Del vivere nella time zone

Qui da me a Tokyo è sera, quasi notte.

Da voi c’è ancora il sole e magari siete in giro da qualche parte a mangiare un gelato.

Dio come vorrei un gelato adesso, nocciola e pistacchio. E magari anche la panna.

Piuttosto dovrei preparare la cena, ma voglia non ne ho. Fumerò qualcosa, e poi a dormire. Forse, se Morfeo mi fa la grazia.

Magari prima mi butto un po’ in vasca, con l’acqua a 38 gradi a sciogliere un po’ i penseri.

L’ofuro: una cosa a cui i giapponesi non possono rinunciare. È più che un’abitudine, è un elemento quasi costante della loro quotidianità

Oggi avevo bisogno di sentirvi, ma mentre io tentavo di aprire gli occhi dalla notte un po’ insonne, voi stavate andando a dormire, o forse dormivate già. E chi sono io per interrompere il vostro sonno? Quel momento così prezioso della giornata che io inizio un po’ a dimenticare come sia.

A dirla tutta il telefono in mano l’ho preso, whatsapp l’ho aperto, un sorriso mi è stato donato, ma poi ho lasciato perdere.

Ho aspettato 8 ore.

7 di fuso più una. Per darvi il tempo almeno di prendere il caffè e capire che un nuovo giorno è cominciato; mentre il mio piano piano volgeva verso il termine.

Ho aspettato 8 ore.

8 ore per immaginarvi svegli e fantasticare su come avreste passato quest’ultima domenica di maggio. Chissà che tempo fa dove vivete; potrei saperlo in un istante, ma mi diverte di più ignorarlo e continuare ad immaginare.

Qua ci sono già 30 gradi. Andate al mare? Un giro a Villa Ada? Colazione al bar da Andrea? Oppure state a casa a lavorare fitto ai vostri progetti per avere più soldi, perché volete viaggiare? Perché dovete viaggiare.

O magari siete a Ventotene a fare un tuffo.

La Molara.

Che darei in questo momento per respirare lì, sospesa a mezz’acqua. Io e il mare, niente altro.

O magari vi state preparando per andare allo stadio, a vedere l’ultima partita dell’unico Capitano che io, come molti romani, ho considerato tale: Totti.

Ho aspettato 8 ore, ma non vi ho scritto, il momento ormai era passato. Poter condividere nel momento in cui si sente il bisogno o il desiderio di farlo è un lusso che ho abbandonato più di un anno fa.

La vita nella time zone. È anche questo. È  vivere un po’ qui e un po’ lì, con un occhio spesso all’orologio, calcolare meno sette e capire se in quel momento vi sto rompendo i cojoni mentre state facendo colazione, un incontro di lavoro o un appuntamento con qualcuno/a

È non poter assecondare sempre le proprie emozioni e pensieri, è dover aspettare per una reazione o un confronto, è vivere nel futuro rispetto a voi, è sapere le cose prima ma a volte anche non saperle per niente perché questo paese a divulgazione dell’informazione non è che sta messo proprio bene.

È sentirsi un po’ soli, ma anche molti liberi; è sentirsi un po’ narratori, essere per voi gli occhi su un mondo così diverso e lontano da quello in cui vivete. È farvi conoscere cose nuove, mostrarvi altre culture, altri luoghi, vedere il vostro stupore ed essere felici per questo.

Vivere nella time zone è sentirsi fuori dal mondo che ho lasciato, leggere quello che scrivete e non sapere assolutamente di chi o cosa state parlando. Non poter ridere insieme a voi, non potervi passare un fazzoletto per asciugare le lacrime o semplicemente non poter condividere silenzi colmi di parole sussurrate sulle stesse lunghezze d’onda.

È percepire vibrazioni a quasi 10.000km di distanza. Vivere nella time zone è un’esperienza forte, rivoluzionaria. È un viaggio.

 

{Scritto in una domenica di maggio, vissuto molto più spesso.}

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