Intervista a Simonetta di Pippo: il lavoro, le donne e lo spazio

Simonetta di Pippo e Paolo Nespoli

Simonetta di Pippo è un’ astrofisica italiana che attualmente ricopre il ruolo di consigliere speciale del Direttore Generale dell’ESA – Agenzia spaziale Europea.

È una donna che vanta una carriera di tutto rispetto: per ben tre anni, dal 2008 al 2011 è stata Direttore del Volo Umano presso l’Agenzia Spaziale Italiana; precedentemente ha seguito importanti progetti internazionali quali ad esempio delegato dell’ESA presso la ISS (Stazione Spaziale Internazionale), esperta europea presso la NASA del programma internazionale di esplorazione su Marte, ha collaborato alla predisposizione del programma Aurora per l’esplorazione robotica del sistema solare e nel 2007 le è stata assegnata la responsabilità per la missione dell’astronauta italiano Paolo Nespoli, a bordo del volo Shuttle STS-120, che probabilmente molti di voi ricorderanno per la sua intensta attività su Twitter durante la sua ultima missione.

Autrice del libro “Astronauti”, e da sempre dedita al suo lavoro e missione con grande amore, impegnata nella divulgazione dell’esplorazione spaziale, ho avuto l’estremo piacere e onore di intervistarla per i lettori di Tiragraffi, durante l’ultima edizione di Frontiers of Interaction, cercando di capire quale sia il suo punto di vista riguardo le donne nell’ambito spaziale e sull’Italia come protagonista dell’esplorazione spaziale

Simonetta di Pippo e Paolo Nespoli

Simonetta di Pippo e Paolo Nespoli

 

Nella tua vita hai avuto una intensa e gloriosa carriera. Come e quando hai deciso di intraprendere questo percorso di vita e professionale? C’é stato qualche evento in particolare che ti ha fatto capire che questa era la tua strada?

Non è mai facile associare un evento particolare, un solo evento, ad una scelta di vita. Perché lavorare in questo settore è una scelta di vita. Ed è anche una scelta dettata dalla passione per il non smettere mai di imparare, in un processo continuo di crescita soprattutto personale che è la grande spinta motivazionale di un lavoro come il mio. Quello che ho sempre saputo però, e che vale comunque in generale, è che per ottenere qualunque risultato occorre lavorare sodo, e come amo dire, resistere sempre un minute più degli altri. Ciò implica perseveranza, attenzione ai particolari, precisione, ma al tempo stesso creatività e flessibilità. Un cocktail di qualità e competenze che si imparano, certamente, ma che debbono anche far parte del proprio DNA insieme ad una dose massiccia di umiltà, senza la quale sir ischia di non vedere eventuali aree critiche e pore in essere i necessari rimedi per tempo.

Se però vogliamo citare un evento particolare, mi rifarei a quando scrissi del mio libro “Astronauti”, pubblicato da Mursia nel 2002, dove descrivo la sera del primo uomo sulla Luna e come l’ho vissuta io, all’età di 10 anni. Se un evento ha segnato le mie scelte, quasi sicuramente è questo.

Sono poche le donne coinvolte professionalmente nell’ambito spaziale; Samantha Cristoforetti ad esempio è l’unica donna astronauta europea.
Quale pensi sia il futuro in tal senso? E quale invece il tuo sogno/desiderio?

Per decenni ho resistito alla tentazione di considerare la discriminazione di genere come un elemento determinante nella mia carriera, pur essendo ben consapevole che la società ne è permeata. E certamente non solo in Italia, in quanto il discorso è ben più ampio.
Le discriminazioni che ho subito, e che continuo a subire, spesso sono striscianti, non evidenti con fatti eclatanti, anche se un paio di episodi a questo riguardo nella mia carriera eclatanti lo sono stati. Ma questo non mi ha impedito di fare quello che volevo e dovevo fare, me lo ha solo reso più difficile, qualche volta molto difficile.
Dopo alcuni mesi dalla mia nomina a Direttore del Volo Umano dell’ESA a Maggio del 2008, prima donna nella storia ad essere nominate direttore all’ESA dal 1975, anno della sua costituzione, mi resi conto che il problema di affermazione del genere femminile in campo aerospaziale, cercando di circoscrivere il problema anche se sappiamo che la questione è ben più ampia, non era solo italiano, e non solo nelle posizioni apicali.
Quante donne abbiamo avuto in Italia nominate presidenti di un ente di ricerca? Pochissime, e solo molto di recente. E quante donne sono riuscite ad essere nominate Direttore Generale dell’ESA? Nessuna, nei suoi 37 anni di esistenza! La motivazione addotta è che non ci sono donne all’altezza, la mia convinzione è che i comitati di selezione sono quasi sempre a forte maggioranza maschile, e poi lo stile di management delle donne è diverso, certe volte anche molto, da quello maschile. Così nel 2009 ho fondato una associazione internazionale, Women in Aerospace Europe, con sede in Olanda, con lo scopo, anche, di creare a rete globale di associazioni federate con WIA US (la capostipite) e le nuove nate WIA Canada, WIA Africa e la nascente WIA Latin America. L’associazione si pone molti obiettivi, e uno dei principali è quello di aiutare le giovani a credere che ce la possono fare a vedere il loro sogno realizzato e indirizzarle nelle loro scelte e nella loro crescita professionale.
Dal 2009 sotto la mia presidenza, WIA Europe ha fatto grandi passi avanti, e spero altri ne faccia presto, nell’ottica anche di impostare una presenza sistematica di donne ai vertici di aziende, enti e consigli scientifici. E mettere la parola fine alla “scusa” che viene usata spesso e cioé che non si trovano donne all’altezza!

L’Italia, forse non molti lo sanno, è sempre stata molto importante in ambito spaziale; basti pensare, ad esempio, all’ultimo lanciatore VEGA che è quasi interamente italiano. Come pensi si evolverà il ruolo dell’Italia in tal senso?

L’Italia ha sempre avuto un ruolo di primo piano, sin dall’inizio dell’era astronautica. Basti pensare al lancio del San Marco nel 1964, al primo modulo non russo e non Americano agganciato alla Stazione Spaziale Internazionale temporaneamente nel 2001, il primo astronauta europeo sulla ISS che è stato di nazionalità italiana, e potrei continuare. VEGA rappresenta un altro esempio importante ma in ambito europeo, in quanto è stato sviluppato sotto l’egida dell’ESA.
Come evolverà il ruolo dell’Italia è una decisione che spetta al Governo, in quanto il ruolo italiano futuro è intrinsecamente legato alle scelte di politica industriale, di politica scientifica, di riconoscimento dell’importanza dello spazio come sinonimo di innovazione e sviluppo. C’é sicuramente anche da affrontare, a livello europeo quantomeno, la questione della governance delle attività spaziali, in quanto il Trattato di Lisbona assegna al Parlamento Europeo la competenza di definire e gestire la politica spaziale europea, e la Commissione Europea sta lavorando in questo momento alla definizione del programma Horizon 2020 con un budget dedicato alle tecnologie spaziali per la prima volta nella storia dell’Unione (se escludiamo ovviamente i budget dedicati ai programmi Galileo e GMES, per i quali si è proceduto con stanziamenti ad hoc).

Condiamo il tutto con le questioni ben note legate alla contingente (speriamo) difficoltà economica, e ne ricaviamo la convinzione, e prima è meglio è, che da questa situazione che potremmo definire di stallo si passi invece all’evidenza che è finita la prima fase dell’era astronautica, il cui avvio si può far coincidere con il primo volo di Yuri Gagarin nel 1961, e che sta per iniziarne una seconda, che si avvarrà senza dubbio dei grossi progressi messi in campo, soprattutto negli USA, da società che stanno affrontando l’accesso allo spazio in modo commerciale, “aggredendo” per il momento l’orbita bassa (intorno ai 400 km di altezza). Insomma, si prevedono cambi radicali, un cambio di paradigma si potrebbe definire.
E l’Italia avrebbe le capacità tecniche per raccogliere la sfida, che segnerà, insieme ad altre scelte che spero farà il Paese in termini di ricerca e innovazione, il futuro dei nostri giovani.

E cosa si potrebbe fare per divulgare maggiormente la cultura dell’esplorazione spaziale e sensibilizzare gli studenti italiani, non solo su questo argomento, ma anche sul ruolo del nostro paese?

La divulgazione è stata per me, da sempre, un chiodo fisso. Ma un conto è avere la consapevolezza, e la voglia, e anche la capacità di divulgare, e un conto è avere tempo ed energie da dedicarvi quando si gestiscono grossi programmi internazionali come la Stazione Spaziale Internazionale o i programmi di esplorazione del Sistema Solare. A livello personale, dunque, ho cercato di dedicarmi alle scuole, di ogni ordine e grado, ai corsi universitari, soprattutto Executive MBA, accoppiata ad una divulgazione attraverso i più comuni mezzi di comunicazione, sia quelli standard, come interviste radiotelevisive, e articoli ed interviste su quotidiani e periodici, sia con una comunicazione 2.0 ad esempio attraverso un account Twitter. Ho anche tentato di mescolare tra di loro diverse discipline, con esperimenti come ad esempio la possibilità di coniugare spazio&musica, da cui la mia presenza al Teatro Carlo Felice di Genova e la mia apparizione sul palco durante un concerto dei Pooh al Teatro degli Arcimboldi di Milano, per poter parlare di spazio ad un pubblico più variegato.

Certamente, per poter avvicinare la popolazione allo spazio, sarebbe opportuno l’inserimento di corsi ad hoc nelle scuole o anche il finanziamento di esperimenti scientifici ideate dai ragazzi e fatti volare ad esempio sulla ISS. Anche questo rappresenterebbe un cambio di paradigma nel modo di fare educazione, e mi riferisco all’Italia nel dire questo. Non ci può amare una cosa che non si conosce, e lo spazio, ben insegnato, potrebbe avvicinare i giovani alle discipline scientifiche all’università consentendo un approccio moderno e orientato all’innovazione da parte dei nostri giovani, non necessariamente nello spazio, ma più in generale su temi e discipline scientifiche di cui si sente un gran bisogno per rilanciare il paese e la sua economia.

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